LE ORIGINI DEL CARNEVALE DI IVREA
Le origini del Carnevale d'Ivrea si possono far risalire intorno al XVI secolo, quando la festa veniva gestita, in rivalità fra di loro, dai vari rioni della città (rappresentati dalle parrocchie di San Maurizio, San Lorenzo, Sant'Ulderico, San Salvatore e San Grato).
Di quel periodo rimangono oggi alcuni aspetti del cerimoniale, che si sono conservati nel tempo, come la sfilata degli Abbà che, a quei tempi, erano verosimilmente dei giovanotti scapestrati e che, nel "mondo alla rovescia" tipico delle feste carnascialesche, assumevano scherzosamente la carica di comandanti della milizia del Libero Comune; oggi il loro ruolo è interpretato da bambini scelti in rappresentanza dei vari rioni. Vi è poi l'innalzamento e abbruciamento degli scarli, rituale con evidenti richiami alla fertilità, ovvero alti pali di legno interamente ricoperti di calluna secca. Il lunedì di carnevale, l'ultima coppia di sposi del rione dissoda, a colpi di piccone, la terra dove dovrà essere conficcato lo scarlo; il martedì sera – come cerimonia conclusiva del carnevale che cede il passo alla Quaresima - gli stessi Abbà, accompagnati dal corteo, provvedono con le torce ad appiccarvi il fuoco, per farne un falò.
L'antica tradizione dei carnevali rionali, in gran parte del Piemonte, fu poi soppiantata nel 1808 dall'unificazione delle feste, voluta, anche per motivi di ordine pubblico, dalle autorità napoleoniche che governavano la città.
Il Generale infatti, nasce proprio come una figura carnevalesca risalente a quest'epoca, e cioè rievocando il simbolo dell'autorità municipale, che veste l'uniforme dell'esercito napoleonico e assume simbolicamente i poteri di gestione e di ordine della festa.
A partire dal XIX secolo quindi, si aprì una fase di "storicizzazione" del carnevale eporediese, collegando il significato della sua celebrazione all'affermazione degli ideali di libertà, giunti in Piemonte con la Rivoluzione francese. Vi è da menzionare, a tale proposito, uno degli elementi che connotano maggiormente le tre giornate di festa, vale a dire l'obbligo per tutti i partecipanti - pena il rischio di diventare bersaglio di "grazioso getto delle arance" - di indossare il rosso berretto frigio, come icona rivoluzionaria resa famosa dalla Marianne e dai sanculotti parigini.
Anche le uniformi - con giubbe e pantaloni dai colori blu e rosso, stivali di cuoio nero, spada al fianco e feluche piumate – indossate dallo "Stato Maggiore", gli ufficiali posti agli ordini del Generale, sono quelle dello stesso esercito napoleonico. Analoghe divise portano le quattro "Vivandiere" che, nei tre giorni di festa di giovedì, domenica e martedì sfilano a cavallo assieme allo Stato Maggiore.
Lo studio storico della manifestazione, tuttavia, si incaricò di cercare di risalire ad epoche ben anteriori alla Rivoluzione Francese, nelle origini dell'ansia di libertà e di lotta contro la tirannide, e collocandole nelle vicende medievali che interessarono Ivrea. La chiave romantica che, a partire dall'Ottocento, fu data al periodo medioevale, si connotò in un cerimoniale in ricordo delle sommosse contro le tirannidi. Nel 1858 – nel pieno del manifestarsi degli ideali risorgimentali - si affermò la presenza della figura della mugnaia, la protagonista dell'intera manifestazione, rappresentata da una cittadina nominata annualmente, che si affaccia al balcone del Municipio la sera del sabato delle cerimonie.
La figura della mugnaia si ispirerebbe alla leggenda di una certa Violetta, giovane figlia di un mugnaio della città (nome comunque diffuso solo dal XIX secolo), sposata con Toniotto, trascinata nel cosiddetto "Castellazzo" e qui obbligata, a concedersi al perfido tiranno, deciso altresì a reclamare la legge ius primae noctis. Storicamente, il tiranno sarebbe identificato in Ranieri di Biandrate, figlio del conte Guido III padrone del territorio sul finir del XII secolo (e contro il quale gli eporediesi insorsero veramente nel 1194, distruggendo il suo maniero - il castello di San Maurizio, soprannominato il "Castellazzo"), ma anche con la figura del marchese Guglielmo VII del Monferrato, padrone di Ivrea in un periodo relativamente breve (1266-1272); alcuni documenti di quel periodo testimoniano lo sconforto del popolo per le salate gabelle sulla produzione di alimentari e farine. La leggenda della mugnaia Violetta, novella Giuditta, termina quando riesce a far ubriacare il tiranno, per poi tagliargli la testa durante il sonno, dando così inizio – come recitano le parole della Canzone del Carnevale - alla sollevazione popolare e all'abbattimento dello stesso maniero del tiranno.
La tradizione le dette l'appellativo di vezzosa, per indicarne la leggiadria e la grazia femminile, quindi vestita di bianco per indicarne la fedeltà e la purezza, ed interpretata, ogni anno, da una diversa cittadina eporediese, che dev'essere sposata, per ricordare lo stato di Violetta, seppur suo malgrado. Come eroina della rivolta inoltre, viene adornata col tricolore italiano, in riferimento alle rivoluzioni risorgimentali. A tal proposito, il folclore del carnevale è ricco, soprattutto nei costumi e negli stendardi, di richiami alle rivoluzioni storiche, a partire dalle tradizioni medioevali canavesane, inneggianti alle sommosse popolari, fino ai moti del Risorgimento. Né va scordato che – come scrisse Carducci – "lungo le vie del centro storico di Ivrea, dove ha luogo la sfilata del carnevale, aleggia anche l'ombra di Re Arduino"; quest'ultimo infatti, nonostante abbia difeso la Marca d'Ivrea nell'XI secolo, agli occhi del povero popolo risultò, comunque, un ricco monarca dinastico.
Storico Carnevale di Ivrea
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